Seminario SISCC – LA GIUSTA DISTANZA. La sociologia e il mondo che (forse) verrà – 26 giugno 2020

LA GIUSTA DISTANZA. La sociologia e il mondo che (forse) verrà.

26 Giugno 2020
ore 9-17

Il Direttivo SISCC ha organizzato per il giorno 26 Giugno 2020 un seminario online secondo la modalità della “fishbowl conversation”. 

La giusta distanza. La sociologia e il mondo che (forse) verrà
26 giugno 2020

Ore 9.00

Presentazione (plenaria)

meet.google.com/byc-vzyi-oxz

Ore 9.30 – 11.30

La famiglia sospesa al tempo del Covid-19. Nuovi spazi e nuovi tempi nelle relazioni familiari

Partecipano: Francesco Belletti, Donatella Bramanti, Elisabetta Carrà, Pierpaolo Donati, Sara Mazzucchelli, Luca Pesenti, Giovanna Rossi.

meet.google.com/qvj-jyfy-fay

Cosa ha a che fare la moda con la pandemia?

Partecipano: Romana Andò, Patrizia Calefato, Antonella Mascio, Simona Segre Reinach.

meet.google.com/hnt-kibm-pzy

Trump vs Twitter? Il paradosso delle piattaforme e la crisi delle democrazie

Partecipano: Sara Bentivegna, Fausto Colombo, Emiliana De Blasio, Fabio Giglietto, Giovanna Mascheroni, Maria Francesca Murru, Rossella Rega, Michele Sorice, Sergio Splendore, Augusto Valeriani.

meet.google.com/biq-bqrc-rxc

 

Ore 11.30-13.30 

I consumi a una svolta? Pratiche e significati del consumo degli oggetti in un mondo (forse) in trasformazione

Partecipano: Alfonso Amendola, Roberta Bartoletti, Vanni Codeluppi, Piergiorgio Degli Esposti, Mauro Ferraresi, Emanuela Mora, Pierluigi Musarò, Roberta Paltrinieri, Paola Parmiggiani, Maria Angela Polesana, Geraldina Roberti, Marco Solaroli.

meet.google.com/iwf-beko-kna

I labili confini dell’informazione: Cosa stiamo imparando dalla comunicazione sulla pandemia?

Partecipano: Francesca Comunello, Ivo Stefano Germano, Marco Mazzoni, Maria Francesca Murru, Massimiliano Panarari, Francesca Pasquali, Carlo Sorrentino, Sergio Splendore, Elena Valentini, Augusto Valeriani.

meet.google.com/bxr-ynpn-fcm

Sport e Covid-19

Partecipano: Luca Benvenga, William Gasperini, Stefano Martelli, Ivana Matteucci, Barbara Mazza, Giovanna Russo, Alessandra Sannella.

meet.google.com/dox-mpud-pdz

La fiducia come “giusta distanza”

Partecipano: Sergio Belardinelli, Pier Paolo Bellini, Lucia D’Ambrosi, Gea Ducci, Alberto Gil, Guido Gili, Emiliana Mangone, Davide Ruggieri, Emmanuele Pavolini, Paolo Terenzi.

meet.google.com/mza-axsk-xjq

 

Ore 14.30-16.30

 

Didattica, e-learning, isolamento: Dall’emergenza verso dove?

Partecipano:Francesca Bitetto, Donatella Capaldi, Alessio Ceccherelli, Elisabetta Gola, Emiliano Grimaldi, Emiliano Ilardi, Mario Pireddu, Marco Pitzalis, Giovanni Ragone, Roberto Serpieri, Simona Tirocchi.

https://meet.google.com/ajn-qnvr-ewu

“Pre-mediation”: L’immagine del disastro

Partecipano: Nello Barile, Sergio Brancato, Stefano Brilli, Stefano Cristante, Giovanni Fiorentino, Laura Gemini, Elisabetta Locatelli.

meet.google.com/qjx-fnie-doq

Quis custodiet ipsos custodes? Platform society, capitalismo digitale e democrazia

Partecipano: Adam Arvidsson, Giovanni Boccia Artieri, Tiziano Bonini, Francesca Comunello, Manolo Farci, Alberto Marinelli, Stefania Parisi, Nicoletta Vittadini, Elisabetta Zurovac.

meet.google.com/qtq-yecp-ywo

 

Ore 16,45

Conclusione (plenaria)

meet.google.com/byc-vzyi-oxz

 

FISHBOWL

   

La famiglia sospesa al tempo del Covid19. Nuovi spazi e nuovi tempi nelle relazioni familiari

Proponenti: Francesco Belletti | Donatella Bramanti | Pierpaolo Donati | Sara Mazzucchelli
Partecipano: Elisa Carrà, Luca Pesenti, Giovanna Rossi

La famiglia pre-pandemia era decisamente sbilanciata sull’esterno della casa e aveva messo a punto strategie più o meno soddisfacenti e adeguate per rispondere a questi molteplici impegni.

Fuori casa, per il lavoro, con tempi spesso decisamente lunghi e impegnativi; fuori casa per la scuola con la necessità di accompagnare i figli, recuperarli e spesso collocarli in un tempo ulteriore; fuori casa per gli studi superiori e l’università, con la necessità di lunghi tragitti sui mezzi di trasporto affollati; fuori casa per i pasti, con mense scolastiche, mense aziendali, fast food; fuori casa per il loisir e il tempo libero, happy hour, cinema, movida, palestre, centri sportivi, scuole di musica e, infinite altre attività, per i più e i meno giovani.

Tutte le recenti ricerche (italiane ed internazionali) e gli ultimi Rapporti Istat 2018/2019 ci consegnano una famiglia al centro di una fitta rete di relazioni: tra le generazioni e tra i pari, gli amici e i vicini, i colleghi di lavoro, di studio, di impegno prosociale, che, seppure con differenze territoriali legate agli stili di socievolezza e alle diverse tipologie degli ambienti di vita, ha connotato la vita delle comunità locali.

Focalizzarsi sulle relazioni dentro e fuori la famiglia ci ha consentito, in questi decenni, di fare emergere la ricchezza delle relazioni, ma anche nuove differenze, nuove fonti di malessere, nuove forme di isolamento sociale, tra coloro che faticano ad essere protagonisti dei propri legami.

Oggi cosa è cambiato a seguito della diffusione della pandemia? Il distanziamento fisico, la chiusura delle scuole, e di molte attività lavorative, la paura del contagio hanno costretto le famiglie italiane, tutte, anche quelle che hanno la fortuna di trovarsi nelle aree meno raggiunte dall’epidemia, a ri-tornare in casa.

In casa per lavorare, in casa per seguire i corsi erogati a distanza dai diversi ordini e gradi di scuola e di università, in casa per cucinare e pranzare tutti i pasti, tutti i giorni, in casa per seguire le notizie e le nuove direttive da seguire, in casa per aspettare la ripresa del lavoro e delle fonti di reddito.

La ricomposizione si è fatta fisica e ha messo in crisi anche gli spazi disponibili per ciascuno.

Le famiglie sono diventate piccole, davvero nucleari (!), e necessitate a badare a sé stesse con le sole forze interne, in una attesa sospesa di poter riprendere la vita normale (?).

Abbiamo osservato in questi anni molte trasformazioni a cui è andata incontro la famiglia, in genere in tempi medio lunghi.

Il distanziamento fisico, imposto con diversi gradi di intensità nelle varie fasi che si sono succedute, è stato erroneamente chiamato distanziamento sociale, mentre ha visto le famiglie dare vita a nuove modalità di socialità attraverso azioni spontanee e occasionali, ma soprattutto ha costretto tutti a tenere in vita i legami sociali attraverso i social e gli scambi mediati, che sono diventati strumenti necessari per tutte le generazioni. L’accesso alla rete e le competenze nel suo uso sono diventati così ulteriori cause di differenziazione sociale e di svantaggio per le famiglie meno attrezzate.

L’incontro vuole costituire una riflessione basata sui primi dati di ricerca che molti studiosi hanno iniziato ad acquisire sul tema, ma anche sulle riflessioni che già erano avviate sulla difficile ricomposizione dei tempi della vita familiare (lo smart working è davvero smart?) e dell’impatto delle tecnologie sulle relazioni familiari.

Le domande intorno alle quali ci piacerebbe ragionare sono:

  1. Come le famiglie italiane hanno reagito ai cambiamenti imposti dai vincoli esterni? E a quali cambiamenti hanno dato vita creativamente? Ce la stanno facendo? E a quali condizioni?
  2. Qual è il costo per le relazioni familiari di questa pandemia? Dove trovano le risorse le famiglie per fronteggiare questa sfida?
  3. Quanto le politiche, e soprattutto le decisioni autorevoli, sono state sentite un sostegno dalle famiglie?
  4. Sono di nuovo le relazioni familiari la fonte da cui attingere? Lo smart-working è davvero smart?
  5. Quali di queste trasformazioni innescheranno dei processi morfogenetici destinati a rinsaldarsi piuttosto che a ritornare alla precedente condizione?

Insomma, l’obiettivo è quello di una riflessione a ruota libera – sui quesiti posti ma anche su quanto emergerà dal contributo di tutti i partecipanti – finalizzata a delineare le sfide a cui sono chiamate le famiglie e le strategie che stanno mettendo atto – nel  breve periodo, ma anche a prefigurare futuri scenari.

“Cosa ha a che fare la moda con la pandemia?”

Proponenti: Romana Andò | Patrizia Calefato | Antonella Mascio | Simona Segre Reinach

Durante il lockdown, due grandi protagonisti della moda, Giorgio Armani e Brunello Cucinelli, hanno pubblicamente espresso quello che da tempo, sia tra gli operatori che tra gli studiosi di moda, era chiaro: la necessità di un “cambiamento” radicale nell’ambito di un sistema ormai in grossa parte insostenibile. Entrambi, pur da prospettive diverse, hanno parlato di tempi della moda, di comunicazione, di valori, di bellezza, di futuro, il primo il 3 aprile, con una lettera alla rivista “WWD”, il secondo negli stessi giorni, con due lettere sul suo profilo Instagram (“Lettera di primavera” e “Lettera del tempo nuovo”).

Nella moda e attraverso la moda si declina proprio il titolo di questo seminario, “La giusta distanza”. La distanza ha infatti a che vedere con il tempo (fast fashion, slow fashion, stagionalità), con i corpi (mascherine, distanziamento, indumenti protettivi), con le forme della comunicazione (sfilate digitali, commercio online, social network), con il rapporto tra gli oggetti di moda e le loro storie materiali (da dove viene ciò che indosso? chi l’ha prodotto? di cosa è fatto?), con il binomio globale/locale (delocalizzazione, autoproduzione). L’occasione, se così si può dire, della pandemia offre così, a partire da questo classico e fondativo oggetto della sociologia che è la moda, elementi di riflessione di grande interesse.

Nel fishbowl parleremo di:

Tempo

Il blocco provocato dalla Pandemia Covid19 ha accelerato la riflessione sui tempi e i luoghi di produzione della moda e sulle conseguenze. Tempo e sostenibilità sembrano essere sempre più correlati. L’idea è che più tempo occorre a realizzarlo, e minore la distanza, più l’abito è sostenibile. La haute couture locale viene contrapposta al fast fashion globale– le ore e i giorni contro i minuti e gli istanti. In realtà gli elementi alla base della sostenibilità – materiali, trattamento, smaltimento, rispetto dei lavoratori, scarti, smaltimento etc. – interpellano tutti i sistemi della moda – dall’alta moda al fast fashion, passando per il prêt à porter. Ma ora un nuovo elemento entra in gioco: è il tempo della creatività che viene messo sotto esame. La collezione “Epilogo” che Alessandro Michele presenterà in luglio a Milano– indica appunto l’intenzione, sua e di altri designer, di opporsi alla pressione del sistema. Non solo per la non sostenibilità della moda, ma perché i ritmi attuali impediscono di maturare la distanza necessaria alla creatività –caratterizzata da un tempo non lineare che intensifica o rallenta soggettivamente i suoi ritmi. Il desiderio di Michele di interrompere la routine della moda è lo spunto per rivedere le modalità di progettazione anche in molti ambiti.

Comunicazione

Crisi come opportunità: la comunicazione della moda durante il Covid19. La situazione di emergenza ed eccezionalità legata al Covid19 ha comportato una serie di urgenze significative nell’ambito della comunicazione, con implicazioni importanti anche nel mondo della moda.

Il discorso proposto tipicamente dalla moda ai suoi pubblici, spesso inserito in cornici oniriche e talvolta ludiche, legato a narrazioni e immaginari talvolta irreali, si è trasformato in conseguenza degli eventi degli ultimi mesi. Si è assistito a una presa di posizione sulla realtà contemporanea, in alcuni casi utilizzando un vero e proprio programma politico. L’emergenza Covid19 sembrerebbe infatti aver inaugurato un nuovo genere discorsivo per la moda, dove “responsabilità”, “moralità”, “necessità” appaiono come parole d’ordine, interpretate in modi diversi.

Uno dei protagonisti di questo mutamento è stato senz’altro stato Giorgio Armani, il quale, oltre ad aver contribuito con generose donazioni ad aiutare diversi ospedali, ha utilizzato il momento della crisi come vera e propria opportunità per descrivere il suo punto di vista sulle dinamiche della moda. Per mezzo di un articolo pubblicato il 3 aprile 2020 su WWD (Women’s Wear Daily) Armani ha sfruttato il Covid19 come occasione per denunciare le attuali logiche del sistema, da lui definite “immorali”. Naturalmente l’articolo ha fatto il giro dei media – e dunque del mondo – apparendo ridefinito da diverse cornici che hanno guidato il lettore verso una riflessione sulla moda e sul rapporto fra fast e slow. La necessità del cambiamento (o almeno di un ripensamento) è diventato perciò il tema centrale del discorso di Armani, che non chiama in causa solo la moda, ma un generale modello di vita.

Sostenibilità

Negli ultimi anni il problema della sostenibilità è emerso vistosamente nel sistema della moda, considerato uno dei settori più inquinanti al mondo, e molti brand hanno iniziato a riflettere e lavorare su questo tema. I due maggiori approcci emersi dal dibattito pubblico ed economico riguardano da una parte il tema della sostenibilità nella produzione di moda e sullo smaltimento dei capi, ponendo l’attenzione sulle strategie per ridurre l’uso di acqua e sostanze chimiche tossiche; dall’altra, dopo i fatti del Rana Plaza, l’attenzione è stata rivolta alla questione delle condizioni dei lavoratori della moda, dello sfruttamento di popolazioni e territori da parte dei grandi brand internazionali (si veda su questo il lavoro di sensibilizzazione svolto da Fashion Revolution).

Tuttavia secondo l’approccio della Circular Economy, per diventare sostenibile la moda dovrebbe considerare l’intero ciclo di vita di qualsiasi prodotto: dal design, alla produzione, alla logistica e distribuzione, alla promozione, vendita al dettaglio, ma anche all’uso e smaltimento.

Il coinvolgimento dei consumatori è, dunque, essenziale e un approccio di audience development potrebbe essere necessario per favorire una presa in carico del problema nelle pratiche quotidiane. Fino ad oggi, i costi eccessivi della moda etichettata come sostenibile hanno di fatto evidenziato la presenza di un gap sociale e culturale tra l’interesse/attenzione ai temi della sostenibilità e le pratiche effettivamente definibili come sostenibili, come dimostra anche una ricerca condotta in Italia dal Master in Fashion Studies e SWG. L’esperienza del COVID-19 e il rallentamento e ripensamento complessivo del sistema moda potrebbero cambiare lo scenario?

Corpi

Le mascherine sono diventate l’indumento-simbolo dell’era del Coronavirus: da rivestimento del volto prevalentemente riservato alle sale operatorie, si sono diffuse capillarmente in ogni situazione facendoci rimuovere, forse, il ricordo di quelle settimane in cui, soprattutto in Italia, erano introvabili in negozi e farmacie. Ma cosa c’è in una mascherina? Che metafore evoca il suo “bisticciare” con rossetto e fondotinta, il suo coprire il volto proprio nei luoghi pubblici (dove invece fino a qualche tempo fa si sanzionava il velo islamico perché non permette la riconoscibilità), il suo trasformarsi da oggetto da sala operatoria in indumento alla moda, da simbolo di comitive di turisti giapponesi un tempo giudicati a torto ipocondriaci, a segno capace di costruirci una nuova “faccia”? E ancora, la mascherina è oggi simbolo della “giusta distanza” tra i corpi, del contenimento dei droplets, della nuova prossemica collegata al distanziamento. Che rapporto c’è tra la sua estetica alla moda e l’etica, la cortesia, la responsabilità di cui questo oggetto si fa interprete? La metafora (che è realtà) del virus permette di comprendere la dimensione collettiva e necessariamente collaborativa delle scelte pur forzate che i nostri corpi sono costretti a compiere. Il vestito e l’accessorio, da segni di identità individuale, si trasformano in segni di socialità solidale.

 

Trump vs Twitter? Il paradosso delle piattaforme e la crisi della democrazia

Proponenti: Sara Bentivegna | Fausto Colombo | Giovanna Mascheroni | Michele Sorice
Partecipano: Emiliana De Blasio, Fabio Giglietto, Maria Francesca Murru, Rossella Rega, Sergio Splendore, Augusto Valeriani

Gli ecosistemi comunicativi digitali costituiscono spazi complessi in cui convivono tendenze diverse. Le piattaforme – di diverso tipo – non sono istituzioni culturali né costituiscono media companies in senso tradizionale dal momento che la loro organizzazione dei servizi offerti implica una limitata responsabilità della qualità dei contenuti. Al tempo stesso, però, esse possono costituire acceleratori dei processi di disordine informativo nonché attivatori di processi di news engagement difficilmente controllabili. La doxa non controllata delle piattaforme “social” rischia di diventare uno spazio di manipolazione, un territorio in cui – nella prospettiva di Hanna Arendt – Verità e Politica si autoescludono. In tale prospettiva, sembra emergere con maggiore drammaticità l’affinità fra menzogna e politica nonostante la menzogna snaturi e distrugga le relazioni fra pari contribuendo così alla delegittimazione della democrazia.

In tale scenario, lo scontro fra Donald Trump e Twitter costituisce solo un esempio emblematico di un conflitto – quello fra diversi apparati di potere – che sembra escludere di fatto i soggetti sociali.

Alle/ai partecipanti sarà chiesta una riflessione sulla relazione fra l’attuale evoluzione dei media e la crisi delle democrazie tradizionali, sull’uso populistico dei social, sulle pratiche istituzionali di correzione della falsificazione e le loro potenzialità di successo, sul ruolo della menzogna in campo politico nell’attuale ecosistema dei media.

I consumi ad una svolta? Pratiche e significati del consumo degli oggetti in un mondo (forse) in trasformazione  

Proponenti: Roberta Bartoletti | Vanni Codeluppi | Emanuela Mora | Roberta Paltrinieri
Partecipano: Alfonso Amendola, Piergiorgio Degli Esposti, Mauro Ferraresi, Pierluigi Musaro, Paola Parmiggiani, Maria Angela Polesana, Geraldina Roberti, Marco Solaroli

Come cambiano i modelli di consumo di fronte ad un evento cosi eccezionale come una pandemia? Le misure emergenziali messe in atto, il Lockdown e il distanziamento fisico, hanno modificato la nostra vita quotidiana, modificato le nostre abitudini, le routine quotidiane e con esse le periodicità dei nostri modelli di consumo. La chiusura forzata ha ridimensionato la scala delle nostre pratiche quotidiane favorendo le dimensioni del locale e della prossimità, rivoluzionato lo spazio domestico non più esclusivamente spazio privato, ha  favorito la virtualizzazione delle pratiche di consumo culturale e la distanza fisica ha accelerato il consumo tecnologico per l’accesso a servizi e alle relazioni sociali.

Le domande che ci poniamo e su cui vorremo fondare il dibattito all’interno del seminario sono:

  • Di fronte all’ennesima crisi economica, alla crisi ambientale che ne fa da sfondo, alla crisi sociale che ne sta derivando di questi adattamenti cosa rimarrà?
  • È ineluttabile il Revenge a cui sta aspirando il mondo della produzione?
  • Aumenterà la consapevolezza dei consumatori e delle imprese, svoltando verso comportamenti maggiormente responsabili? Che ruolo potranno assumere lo Stato, la Scuola, l’Università per implementare modelli di responsabilità sociale?
  • Il settore della cultura, la produzione culturale, che assieme alla scuola sembra quello maggiormente colpito dalla crisi quali sistemi adattivi metterà in campo?
  • La tecnologia permetterà l’implementazione di un modello di consumi maggiormente sostenibile?

I labili confini del campo dell’informazione. Cosa stiamo imparando dalla comunicazione sulla pandemia

Proponenti: Francesca Pasquali | Carlo Sorrentino | Sergio Splendore | Augusto Valeriani
Partecipano: Francesca Comunello, Ivo Stefano Germano, Marco Mazzoni, Maria Francesca Murru, Massimiliano Panarari, Elena Valentini

Le conseguenze spesso fan soffrire, cantava Lucio Battisti. E’ quello che potrebbe capitare al giornalismo. Infatti, proprio mentre alcuni dati di ricerca relativi all’informazione sul Covid-19 mostrano un ritorno di fiducia nei media mainstream, si prevede la chiusura imminente o la forte riduzione d’organico di testate che non hanno retto al calo pubblicitario, conseguente alla crisi economica prodotta dalla pandemia, e molti qualificati osservatori parlano di evento fatidico soprattutto per la carta stampata.

L’incontro vuole costituire una prima riflessione basata sui primi dati di ricerca che molti studiosi hanno iniziato ad acquisire sul tema, ma soprattutto su quell’enorme lavoro di atipica “osservazione partecipante” in cui siamo stati tutti coinvolti quali fruitori di una comunicazione che mai come negli ultimi due mesi è stata monotematica.

Le domande intorno alle quali ci piacerebbe ragionare sono:

1)      Questo incremento nella fruizione dei media mainstream e i migliori risultati in termini di fiducia sono il segnale di un parziale e lento risveglio, come auspicano i più ottimisti, oppure soltanto conseguenza dell’eccezionalità delle circostanze, che ha indotto verso mezzi con maggiori tradizioni e, quindi, in grado di recuperare con più immediatezza in reputazione?

2)      Qual è stato il ruolo dell’informazione, non soltanto quella mainstream, ma di tutta l’informazione veicolata da un sistema dei media che – come sappiamo – ormai da anni è particolarmente frammentato, segmentato, ibridizzato.

3)      Quanto l’assenza di un’efficace strategia di comunicazione istituzionale, in Italia ma non solo, producendo una cacofonia di voci anche da parte delle principali fonti istituzionali, ha determinato l’ingresso in campo di attori che hanno surrogato a questa mancanza? Si pensa alle principali testate, ma anche al ruolo svolto nelle specifiche realtà, soprattutto nei territori più colpiti dalla pandemia, da testate locali storiche come dalle testate on line, o anche da altri soggetti che attraverso i propri profili hanno svolto – più o meno volontariamente – un ruolo di supplenza nel comunicare le emergenze, ricoprendo di fatto funzioni di pubblica utilità?

4)      Qual è stato il ruolo in questa improvvisa ridefinizione del campo informativo di nuovi fonti: i principali influencer – si pensi agli oltre due milioni e mezzo di fondi raccolti dalla coppia Ferragni Fedez per il San Raffaele di Milano – ma anche i giornalisti più attivi sui social: ad esempio il successo dell’azione svolta da Andrea Scanzi e Nicola Porro.

Sport e CoVid-19

Proponenti: William Gasparini | Stefano Martelli | Ivana Matteucci | Alessandra Sannella
Partecipano: Luca Benvenga, Barbara Mazza, Giovanna Russo

Sport e CoViD-19 è un tema nuovo, che però il mese scorso ha già avuto un importante documento, promosso dalla slovena Alma Papic membro dell’IOC a nome di oltre 40 Federazioni sportive internazionali a cominciare da Comitati olimpici, federazioni calcistiche e altre grandi organizzazioni europee (si veda il documento Position paper on the impact of the COVID-19 crisis on the sport sector). In quest’ottica si vuole ragionare sugli effetti della pandemia sul settore sportivo a livello non solo economico-occupazionale, ma anche su alcuni aspetti emergenti a livello socio-culturale che vedono Sport e AF assumere un ruolo di primaria importanza come nuovi strumenti di ben-essere della popolazione “per una Europa più resiliente”.

La fiducia come “giusta distanza”

Proponenti: Sergio Belardinelli | Guido Gili | Emiliana Mangone | Paolo Terenzi
Partecipano: Pier Paolo Bellini, Lucia D’Ambrosi, Gea Ducci, Alberto Gil, Davide Ruggieri, Emmanuele Pavolini

 L’emergenza epidemiologica prodotta dal COVID-19 e la sfida che essa ha comportato e comporta per le relazioni sociali ha creato un diffuso senso di insicurezza e ha avuto un impatto significativo sulle diverse forme di fiducia-sfiducia.  In sociologia non si parla semplicemente di fiducia, ma sono state identificate più forme di fiducia, che presentano aspetti di continuità e di differenza: la fiducia interpersonale specifica, la fiducia interpersonale generalizzata, la fiducia istituzionale specifica, la fiducia sistemica e la fiducia nei certificatori della fiducia.

Lo scopo di questo incontro è cercare di comprendere se e come queste forme sono state “messe alla prova” dall’attuale emergenza sanitaria. Come si sono ridefinite nell’attuale contesto? In qual modo e in quale direzione? Ma, più in generale, qual è il destino della fiducia nelle società complesse contemporanee, al tempo e, soprattutto, dopo il COVID-19?

Didattica, e-learning, isolamento.  Dall’emergenza verso dove?

Proponenti: Emiliano Ilardi | Marco Pitzalis | Giovanni Ragone | Roberto Serpieri
Partecipano: Francesca Bitetto, Donatella Capaldi, Alessio Ceccherelli, Maddalena Colombo, Elisabetta Gola, Emiliano Grimaldi, Mario Pireddu, Simona Tirocchi, Assunta Viteritti

Dai primi di marzo del 2020 milioni di italiani (e decine di milioni di europei) si sono trovati di colpo ad “abitare” un ambiente educativo sconosciuto: gli studenti, che si sono visti entrare nella loro stanzetta scuola e università; i genitori, costretti a dare aiuto ai ragazzi e ad affrontare con loro i problemi di adattamento; gli insegnanti, che hanno dovuto affrontare senza preparazione e senza competenze il problema di trovare rapidamente modelli di comportamento e di gestione della didattica che potessero garantire almeno un minimo di efficacia, spesso senza riuscirci. L’evento, di portata gigantesca, può comportare – se, come pare, sarà impossibile un ritorno alla “normalità” nel 2020-2021 – una sfida epocale per il sistema educativo che in Italia era del resto in crisi profonda. Una analisi di ciò che realmente è avvenuto, e del dibattito che sulla trasformazione digitale della scuola e dell’università si è scatenato con prese di posizione anche radicalmente contrapposte, è necessaria e centrale per la comunità degli studiosi di processi culturali e media, a loro volta attori sul campo nello stesso processo.

Riflessioni e domande di ricerca su cui vorremmo ragionare:

  1. Il “trasferimento” della didattica frontale dall’aula alle piattaforme online (per di più senza preparazione e infrastrutture funzionanti) da un lato ha mostrato potenzialità in genere poco coltivate da scuola e università, dall’altro ha reso evidenti l’arretratezza strutturale dei modelli organizzativi e didattici del nostro sistema, impattando inoltre in modo asimmetrico per tipo di scuola, situazioni sociali diseguali, modelli di apprendimento differenti nelle aree disciplinari universitarie, ecc.
  2. Sono emerse in questi mesi di quarantena idee e teorie tra loro differenti e in competizione sul senso stesso dell’educazione, e del suo rapporto con “comunità”, “prossimità fisica”, “isolamento”, “valutazione”, “socializzazione” nel contesto dei processi culturali che, in generale, segnano l’evoluzione della società delle reti. Di per sé ciò può essere un bene (che a riflettere non siano solo gli insegnanti e gli specialisti, ma anche intellettuali, giornalisti, soggetti sociali molto più estesi). Ma quali sono le basi teoriche delle posizioni in gioco?
  3. Cosa pensano, cosa hanno ricavato studenti, insegnanti della scuola, docenti universitari, personale tecnico-amministrativo, famiglie da questa esperienza? Prospettive di ricerca empirica per il futuro.
  4. Le istituzioni educative – sostengono da tempo alcuni di noi – o si ibridano con le reti digitali o, dalla crisi, passeranno rapidamente alla obsolescenza. L’emergenza ha decretato una ibridazione coatta gestita da un comando burocratico, abbastanza indifferente nei confronti della realtà sociale e professionale dei sistemi e del tutto indifferente rispetto alla missione formativa e alla formazione effettiva di competenze che i percorsi educativi devono assicurare. È possibile proporre una gestione alternativa di questo processo di trasformazione culturale – di enorme e strategica importanza? Quali sono le basi scientifiche, se ci sono, per un “altro” modo di gestire questa transizione?
  5. È necessaria infine una riflessione in merito alla natura privata/pubblica delle infrastrutture tecnologiche indispensabile alla didattica online e alle modalità di trattamento dei dati che su di esse sono raccolti e scambiati.

“Pre-Mediation”. L’immagine del disastro

Proponenti: Sergio Brancato | Stefano Cristante | Giovanni Fiorentino | Laura Gemini
Partecipano: Nello Barile, Stefano Brilli, Elisabetta Locatelli.

Il laboratorio sociale Covid-19 ha stravolto il presente di milioni di persone e offerto, tra l’altro, uno straordinario flusso di immagini e storie. L’incombenza immateriale della pandemia si è risolta nella vita quotidiana di molti di noi in immagine, attraverso le immagini.

In tale contesto, l’ispirazione offerta dal libro – e dalla relativa definizione – di Richard Grusin, PreMediation: Affect and Mediality after 9/11 (Palgrave-Macmillan, 2010), apre una possibilità di guardare alle immagini e attraverso le immagini non limitandoci a
“rappresentare” l’esperienza del mondo, ma “spieghiandola” e facendone “teoria”, attrezzandoci ad anticipare, contemplandoli in potenza, gli eventi critici attraverso l’allestimento di scenari possibili.

Da questa premessa, la cornice del tavolo di confronto è basata sulla qualità delle
immagini (arte, illustrazione, fotografia, cinema, fumetto, pubblicità, linguaggi
digitali) di trascendersi in senso storico per farsi metanarrazione in
grado di significare oltre il contingente. L’idea è dunque quella di proporre, a partire dall’implosione visiva, esperienziale e globalizzata della primavera 2020, modelli di lettura dell’immagine in cui si reperiscono le ricorrenze immaginarie che definiscono il nostro rapporto con la catastrofe in senso generale  e la pandemia Covid19 in senso più specifico.

  1. Le immagini e le metafore del contagio: la pandemia tra premediation e remediation.
  2. È possibile ragionare sulla figura dello scienziato emersa durante la dieta mediatica della pandemia confrontando la nostra esperienza di spettatori con quella dei lettori di fantascienza, in particolare distopica? L’immagine della scienza nei media versus l’immagine della scienza nella Science Fiction.
  3. L’immagine invadente. Tra autocomunicazione di massa e produzione giornalistica, quali immagini si cristallizzeranno nell’immaginario collettivo costruendo la nostra memoria sociale?
  4. Il Covid 19 e le arti performative: quale relazione – immagine e realtà – nell’ottica della teoria post rappresentazionista?

Quis custodiet ipsos custodes? Platform society, capitalismo digitale e democrazia.

Proponenti: Adam Arvidsson | Giovanni Boccia Artieri | Tiziano Bonini | Alberto Marinelli

Partecipano: Francesca Comunello, Manolo Farci, Stefania Parisi, Nicoletta Vittadini, Elisabetta Zurovac

Nella miniserie a fumetti “Watchmen” (Moore, Gibbons 1986), c’è un graffito che compare più volte in tutta la storia, ma non si vede mai completamente. Eppure si riesce sempre a leggere. C’è scritto “Chi controlla i custodi?” (Who watches the Watchmen?).
Flashforward dal 1985 di Watchmen al 2020: le online platforms sono i nuovi “custodi” di Internet (Gillespie, 2018) e presidiano l’intero orizzonte sociotecnico. Sono cioè dei soggetti sociali divenuti egemoni nello spazio di rete, sia in quanto strutture tecnologiche sia in quanto ambienti che ospitano le relazioni economiche e sociali, dando forma a un nuovo ecosistema informativo, comunicativo e dei consumi.
Si tratta di un processo di «piattaformizzazione» (Helmond 2015) che ha saturato ogni ambito del web e in cui si muovono attori istituzionali, editori e utenti, svolgendo una funzione di nuova intermediazione (Boccia Artieri, Marinelli, 2018), che struttura il flusso informativo e commerciale attraverso l’utilizzo dei dati comportamentali degli utenti sottoponendoli alla logica degli algoritmi (Bucher, 2017).

Uno dei lavori più recenti che mette al centro questa trasformazione è il testo di José van Dijck, Thomas Poell, e Martijn de Waal, Platform Society: valori pubblici e società connessa (2019), e si distingue per la capacità di analizzare il ruolo che le piattaforme hanno nel modellamento della vita sociale e di come si stiano «progressivamente infiltrando (e convergendo con) le istituzioni (offline, tradizionali) e le pratiche che strutturano sul piano organizzativo le società democratiche».

Si tratta di una trasformazione profonda, che comporta per il ricercatore l’assunzione di un nuovo paradigma: quello della platform society? Che rapporto esiste tra questo frame e quello del più generale meta-processo di mediatizzazione?

Quali sono le implicazioni economiche e sociali di una platform society fondata sul modello del capitalismo digitale?

Quali sono gli spazi di agency individuale dei cittadini all’interno della platform society?

Cos’è un “fishbowl”

Una conversazione “fishbowl” è una forma di dialogo utilizzato per la discussione di temi da parte di gruppi allargati di persone. Solitamente viene utilizzata come dinamica partecipativa poiché consente a chiunque lo desideri di prendere parte alla discussione. Tradizionalmente (nella modalità “in presenza”) ci sono quattro partecipanti (fish) che si siedono sulle sedie gli uni di fronte agli altri mentre gli altri partecipanti occupano delle sedie in cerchio attorno a loro, creando la bowl. Quando un partecipante finisce di parlare si alza dalla sedia lasciandola vuota e uno degli spettatori/ascoltatori può prendere il suo posto.

Come SISCC abbiamo pensato di utilizzare questa formula adattandola alla modalità online per consentire un’ampia discussione attorno a tematiche ritenute centrali dalla/ per la nostra comunità sociologica di riferimento nella particolare situazione in cui ci troviamo.

Come funziona

Sul piano tecnico ogni fishbowl si terrà in una “stanza” su Meet in cui accederanno i partecipanti. Tra questi ci saranno i quattro promotori della discussione che saranno i primi a portare il proprio punto di vista in video in un tempo limitato di pochi minuti (5 minuti circa), mentre gli altri faranno da spettatori e dovranno tenere video e microfoni spenti. Quando uno dei quattro promotori spegnerà il proprio video il suo posto potrà essere preso da chiunque voglia contribuire alla discussione, è così via. In questo modo, potenzialmente tutti i presenti nella stanza (cioè collegati online) potranno intervenire, contribuendo ad arricchire la discussione. Al termine del processo uno dei quattro promotori farà una sintesi della discussione avvenuta.

Questo sistema di conversazione consente di creare varie “stanze” nelle quali si terranno diverse discussioni che ruoteranno tutte intorno al tema unificante e centrale (La giusta distanza: la sociologia e il mondo che (forse) verrà), ma ne svilupperanno ognuna aspetti o temi specifici. Non c’è un limite alla creazione di “stanze” (cioè di temi intorno a cui discutere). Tuttavia, per consentire alle persone che lo desiderano di partecipare a più di una discussione, proponiamo tre sessioni orarie: 1) dalle 9 alle 11; 2) dalle 11 alle 13; 3) dalle 14,30 alle 16,30. Ogni sessione potrebbe ospitare 3 discussioni “stanze” parallele.

Ogni “stanza” si caratterizza per una modalità di discussione che non assomiglia ai tradizionali convegni e seminari, con relazioni, tavole rotonde, e simili. In questo caso, una volta dato avvio alla discussione con i primi quattro interventi, l’avvicendarsi di coloro che prendono la parola (cioè “occupano le sedie”) favorisce una discussione agile e aperta.

Una volta definito il tema e i primi interventi (cioè le stanze e i primi ospiti), altri colleghi possono iscriversi, cioè entrare nella stanza, assistere alla discussione e, se lo desiderano, intervenire.