Digital transformation

La  è un processo irreversibile che attraversa tutti i contesti di vita e di lavoro, una sfida irrinunciabile dal punto di vista di chi ha responsabilità decisionali e si trova a fronteggiare una rapida accelerazione dei processi di cambiamento“. Questa la definizione che di getto dà Alberto Marinelli della trasformazione digitale. Professore ordinario presso l’Università di Roma La Sapienza, da anni svolge un’intensa attività di ricerca sulle trasformazioni di Internet e del web e della loro integrazione rispetto alle tecnologie mobili, e sul processo di ridefinizione del medium televisivo e della sua ibridazione con gli ambienti online, sia rispetto alle pratiche d’uso (social TV) sia rispetto allo sviluppo di modelli di over the top e connected television.

Trasformazione digitale – continua – è anche una straordinaria occasione per ripensare le nostre forme organizzative, gli spazi e i tempi della nostra giornata, le modalità in cui possiamo essere coinvolti nello sviluppo di un futuro più equilibrato e sostenibile, che rispetti il nostro desiderio di condividere risorse e responsabilità, senza prevaricazioni e con uno spirito solidaristico. Un’occasione che si presenta al momento giusto perché stiamo vivendo, complice la crisi economica degli ultimi anni, un declino dei modelli che hanno guidato la crescita economica del secolo scorso e degli stili di vita che li hanno interpretati e diffusi a livello globale. In senso più metaforico, se la prima rivoluzione digitale aveva lavorato prevalentemente al rapporto tra bit e atomi, consentendo l’apertura di una rete di comunicazione e distribuzione dell’informazione (internet) accessibile a (quasi) tutti, la fase della Digital Transformation che stiamo sperimentando ha l’ambizione di agire su tutti i processi del mondo fisico riformulandoli alla luce delle opportunità offerte dalle tecnologie di rete e dall’Internet of Things. E’ una trasformazione che ha un impatto sociale molto più rilevante della precedente e che richiede un processo di accettazione e condivisione molto più forte per evitare che si levino reazioni spaventate se non addirittura “luddistiche” contro le imprese e i Governi che spingono sulle filiere dell’innovazione tecnologica. Anche perché la Digital Transformation crea grandi opportunità ma altrettante ne distrugge o ne trasforma dalle fondamenta. E allora il compito più difficile nei prossimi anni sarà rendere questi processi comprensibili, a misura d’uomo; valorizzarne gli esiti positivi in termini di qualità e tempi di vita e di lavoro; puntare sul tema della condivisione e del risparmio delle risorse dell’ecosistema nel suo complesso per assicurare un futuro alle prossime generazioni“.

Sicuramente anche con l’intento di supportare il processo di trasformazione del nostro Paese,  ha scelto di far parte del gruppo di persone che ha dato al Digital Transformation Institute.

La motivazione più rilevante per la quale abbiamo creato il DTI – afferma – è la possibilità di lavorare in un contesto multidisciplinare, in cui le competenze provenienti dal mondo dell’università e della ricerca scientifica si ibridano con le culture aziendali sul tema dell’innovazione tecnologica e del suo impatto sull’organizzazione complessiva della realtà economica e sociale. Questa opportunità si presenta solo in alcuni momenti all’interno dell’Università, spesso in occasione di singoli progetti finanziati su obiettivi molto specifici, che non riescono a incidere sulle strategie degli attori politici o imprenditoriali. Il DTI, mettendo tutti gli interlocutori allo stesso tavolo, consente di azzerare il problema del trasferimento di idee innovative, di priorità strategiche, di modalità operative che si sono rivelate efficaci. Consente inoltre di proporre una vision condivisa sulle questioni rilevanti e di promuoverla nelle arene di dibattito pubblico con l’obiettivo di incidere nei processi decisionali e nella percezione di accettabilità sociale“.

E LA DIGITAL TRANSFORMATION NELLA COMUNICAZIONE?

Per chi insegna comunicazione, la sfida di comprendere e provare a orientare le trasformazioni in atto rappresenta un nodo sul quale è inevitabile misurarsi. Per la prima volta i media – il nostro oggetto di studio – non si limitano a “rappresentare” il mondo ma sono diventati, in quanto piattaforme di comunicazione, inseparabili dalla nostra vita. Tutto o quasi passa dagli ambienti di comunicazione (online social) e dai device personali che portiamo sempre con noi e che rappresentano la porta sempre disponibile per l’accesso alle reti di informazione e ai nostri network relazionali.
Ma la Digital Transformation sta ridefinendo drasticamente anche l’offerta, le esperienze di consumo, la percezione stessa dei media “tradizionali”. Basta citare l’affermazione nel mercato della distribuzione di contenuti audiovisivi di una “data driven company” come Netflix, la cui forza principale risiede nella capacità di valorizzare le informazioni generate da ogni singolo atto di consumo per costruire forme di clusterizzazione sempre più raffinate, che vengono incontro alle passioni di specifiche nicchie di audience e orientano la creazione di nuove tipologie di contenuti. Con gli OTT come Netflix stiamo toccando con mano come la Digital Trasformation può ridefinire le filiere produttive e distributive delle industrie media tradizionali, ma anche quanto le trasformazioni possano modificare le pratiche di consumo individuali, assegnando alle audience il pieno controllo sui tempi e i device di accesso ai contenuti preferiti.

[di Stefania Farsagli via TechEconomy]

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