SISCC: documento sulla valutazione delle riviste

SISCC – Società Scientifica Italiana “Sociologia, Cultura, Comunicazione”

Documento finale del Convegno su “Pratiche di qualità. La valutazione nelle riviste e delle riviste”, tenutosi nei giorni 8 e 9 novembre 2018 presso il DISUCOM – Dipartimento di Scienze Umanistiche, della comunicazione e del turismo, Università della Tuscia – Viterbo.

 

Le questioni preliminari.

Leggendo i documenti redatti dalle diverse comunità scientifiche nelle aree non bibliometriche che circolano in versione definitiva o in bozza in queste settimane, si coglie un sottotesto molto chiaro: la questione principale rispetto alla quale prendere posizione, non è tanto la qualità scientifica delle riviste, cioè se e come esse contribuiscano a incrementare le conoscenze e ad alimentare il dibattito in un specifico campo di studi, ma il fatto che le riviste e la loro classificazione sono determinanti ai fini delle carriere accademiche. D’altra parte il riferimento fondamentale del “Regolamento per la classificazione delle riviste nelle aree non bibliometriche” di Anvur verte proprio sulla definizione dei “criteri di classificazione delle riviste ai fini della Abilitazione Scientifica Nazionale”. Questo aspetto è senza dubbio importante, ma se diventa l’oggetto centrale del dibattito sulle riviste, e delle proposte che vengono avanzate, finisce per essere fuorviante.

Ricentrare la discussione

In questo senso occorre ricentrare la discussione su due aspetti.

Il primo aspetto è che crediamo nella valutazione poiché la valutazione costituisce un “bene relazionale”, nella misura in cui concorre a creare le migliori condizioni affinché i vari soggetti coinvolti – editori, comitati di direzione, comitati scientifici, referee, autori – possano “lavorare bene”. La qualità infatti sta non soltanto in ciò che le riviste producono, ma in ciò che promuovono, anche in termini di relazioni, nella capacità di stimolare gli autori a scrivere meglio, nei dibattiti culturali che alimentano, ecc. La classificazione delle riviste è importante (e va mantenuta), ma lo è soprattutto se e in quanto serve ad aiutare le riviste in questo impegnativo, ma sempre più urgente, compito, orientato a far crescere la qualità del lavoro scientifico in generale.

Il secondo aspetto decisivo sta nella domanda: la qualità delle riviste scientifiche dell’area sociologica, e in generale dell’area 14, è migliorata o è peggiorata negli ultimi anni? Riteniamo che in termini generali sia migliorata per alcune ragioni abbastanza chiare e visibili.

1. Incremento della riflessività degli autori. Innanzitutto la questione della valutazione ha avuto un impatto positivo perché ha introdotto una serie di procedimenti, come il “doppio cieco”, che hanno stimolato la riflessività degli autori, quindi la disponibilità a mettersi in gioco, a farsi valutare, a sentirsi avanzare obiezioni o richieste di approfondimenti. Questo ha contribuito a creare un processo che conduce a una maggiore consapevolezza critica sul valore del proprio contributo. E anche a un miglioramento, attraverso queste procedure, del prodotto finale.

2. Incremento dell’universalismo. In secondo luogo, nel passato le riviste erano gestite soprattutto attraverso reti amicali o di prossimità. Che ci sia un’identità e un orientamento culturale non è un male, anzi è essenziale per le riviste dell’area umanistica e delle scienze sociali. Ma spesso questo aspetto era concepito in modo distorto nel senso di favorire la possibilità di pubblicazione per alcuni e non per altri in base a motivi che potremmo chiamare extra-scientifici. Oggi il processo di valutazione, che ha anche aspetti contraddittori e non è comunque alieno da rischi, ha però favorito un incremento del grado di universalismo e di “apertura” delle riviste. Anche se ancora parziale, un progresso in questo campo c’è stato.

3. Incremento dell’internazionalizzazione. In terzo luogo c’è stato un incremento positivo dell’internazionalizzazione, non solo nel senso che le riviste prevedono la possibilità di pubblicare in lingua inglese o in altre lingue, ma anche nel senso che molti colleghi stranieri sono entrati nei comitati editoriali e scientifici e, soprattutto, è aumentato il numero di studiosi di altri paesi che pubblicano su riviste italiane. È importante per gli italiani pubblicare su riviste internazionali, ma anche che le riviste italiane siano a tutti gli effetti riviste internazionali per la ricchezza dei contributi che pubblicano e il respiro internazionale.

Questi effetti positivi sono legati al ruolo di stimolo e di orientamento che Anvur ha avuto, ma più in generale sono l’esito di un processo di modernizzazione e di allargamento dei confini del mondo della ricerca accademica, di cui l’internazionalizzazione è una delle dimensioni più significative. Un processo che ancora deve fare molti passi, ma indubbiamente è iniziato e ha fatto un pezzo di strada. Quindi siamo consapevoli degli effetti positivi che l’avanzamento di buone pratiche di valutazione e di una cultura della valutazione ha favorito. Questo, per certi aspetti, è un processo irreversibile.

Gli effetti perversi

Accanto a ciò, vi sono però anche degli effetti perversi, particolarmente visibili nel caso delle scienze umane e sociali, che dobbiamo considerare attentamente.

1. L’omologazione qualitativa. Le riviste dell’area delle scienze umane e sociali hanno una loro identità culturale e scientifica. Questa identità culturale corre il rischio di diventare secondaria o addirittura irrilevante nel momento in cui la valutazione si affida esclusivamente o prevalentemente a meccanismi di tipo formale, quasi automatici, legati più alle procedure che ai contenuti. Questo problema si acuirebbe se si applicassero dei puri criteri bibliometrici nell’area delle scienze umanistiche e sociali. I criteri formali sono importanti, ma se assolutizzati facilitano dei processi distorsivi e di deresponsabilizzazione. Occorre affidarsi alla responsabilità dei valutatori, che non sono dei meri esecutori di procedure o calcolatori di mediane e soglie, ma devono poter esprimere una valutazione sul contenuto dei prodotti loro sottoposti, in prima istanza per aiutare gli autori a migliorare tali prodotti.

2. Effetti perversi della concorrenza. La concorrenza per la qualità tra le riviste, che è sottesa a ogni tentativo di classificazione e di ranking, è un fattore positivo, ma può produrre anche effetti perversi di cui essere consapevoli e sui quali intervenire. Un primo rischio è che dopo avere conquistato faticosamente e meritatamente la Classe A, le riviste si arrocchino, cioè difendano la loro cittadella. Le riviste diventano infatti determinanti per i concorsi e quindi detengono una posizione di potere in questo gioco. Perciò c’è il rischio del riaffacciarsi del familismo, anche se nascosto sotto i lucidi meccanismi di procedure impeccabili. In secondo luogo si crea una doppia spirale poiché molti studiosi e ricercatori selezioneranno a priori le riviste di Classe A, scansando o ignorando le altre. Questo allarga la distanza tra le riviste e rende più difficile il raggiungimento della Classe A per quanti non ne fanno (ancora) parte. Inoltre le persone tenderanno a disertare le riviste di altri settori scientifico-disciplinari, anche importanti e di Classe A, che però non sono riconosciute tra quelle del proprio settore disciplinare, pregiudicando così la collaborazione interdisciplinare, già poco praticata nel nostro paese a differenza di quanto accade a livello internazionale. C’è dunque anche un certo rischio di chiusura sulla propria specifica disciplina. Per un sociologo poter pubblicare – ed essere apprezzato – su riviste di filosofia, linguistica, scienze umane o culturali in senso lato, non è un “di meno”, ma un “di più”. In questo modo questa apertura si viene a perdere, tornando a prevalere “coerenze” disciplinari che possono risultare un po’ asfittiche.

3. Uso improprio della VQR ai fini della valutazione delle riviste. Riteniamo non corretto usare i risultati della VQR ai fini della valutazione delle riviste, perché la VQR è uno strumento nato per altri scopi e la cui utilizzazione è stata estesa, a nostro avviso impropriamente, a campi e oggetti per i quali non è stata pensata, compresa la valutazione delle riviste. Per questo non si possono non accogliere in toto i rilievi critici avanzati a questo proposito nella bozza del CRIS – Coordinamento delle riviste di area sociologica e nei documenti di altre Società scientifiche dell’Area 14.

La ridefinizione degli elenchi.

Un ultimo aspetto che va affrontato è quello degli elenchi attuali delle riviste di Classe A e delle riviste scientifiche. Per ciò che riguarda l’area sociologica e del SSD SPS/08 in particolare, emerge che le riviste italiane costituiscono una parte minoritaria di quelle presenti (nel caso di SPS/08 poco più di quaranta su oltre 500 riviste di Classe A). Naturalmente vi sono anche altre riviste italiane che aspirano ad entrare nell’elenco delle riviste di Classe A e/o della riviste scientifiche e questo è sicuramente un fatto positivo che stimola le riviste stesse a acquisire quei parametri di qualità del processo/prodotto che consentono tale riconoscimento.

Al tempo stesso, per ciò che riguarda le riviste internazionali, è necessario un lavoro di selezione dal momento che, nonostante il numero elevato, molte importanti riviste non sono presenti. A questo proposito l’Anvur ha previsto che singoli studiosi e ricercatori segnalino nuove riviste all’indirizzo dedicato riviste@anvur.it. Questo è sicuramente un utile strumento, ma lo sarebbe ancor più se le Società scientifiche, in quanto tali, dopo aver fatto un lavoro istruttorio, proponessero ad Anvur degli elenchi ragionati che coprano i diversi ambiti dei rispettivi SSD. Crediamo che questa sia un’importante forma di assunzione di responsabilità e di collaborazione delle Società scientifiche con Anvur ed è quello che, come Associazione, abbiamo iniziato a fare raccogliendo un elenco di proposte motivate da sottoporre alla valutazione di Anvur.

Accanto alla valutazione e al riconoscimento di nuove riviste, si pone però un problema altrettanto importante di “ripulitura” degli elenchi attuali, che sono l’esito di stratificazioni e scelte del passato non sempre comprensibili. Innanzitutto per quanto concerne l’area sociologica si può osservare che una serie di riviste sociologiche di settore (comunicazione, educazione, lavoro, diritto, etc.) sono comuni a tutti i SSD, il che ha sicuramente un senso. Scorrendo però l’elenco si nota immediatamente che ci sono anche numerose riviste, italiane e internazionali, che non presentano alcuna pertinenza con il SSD, almeno non più di tante altre che non sono comprese. A tale riguardo è opportuno eliminare (o declassare dalla Classe A) tali riviste, anche ai fini delle valutazioni concorsuali, dal momento che la pertinenza è uno dei principali criteri con cui vengono giudicate le pubblicazioni dei candidati. Si tratta di un aspetto di incongruenza eclatante, che va corretto.

Queste osservazioni non contraddicono, a nostro avviso, il tema dell’apertura interdisciplinare, ma rispondono all’esigenza di evitare la notte in cui tutte le riviste sono nere, come le vacche di Hegel. Ad esempio tra le riviste di Classe A del SSD SPS/08 ci sono molte riviste giuridiche e criminologiche, che possono avere qualche pertinenza con il SSD SPS/12, ma ne hanno assai meno con SPS/08. Ci sono riviste di architettura e di studi territoriali, che possono avere qualche pertinenza con il SSD SPS/10, ma ne hanno assai meno con SPS/08. Ci sono riviste di studi economici e industriali che possono avere qualche pertinenza con il SSD SPS/09, ma ne hanno assai meno con SPS/08. Per non parlare di riviste assolutamente bizzarre che sembrano capitate per caso nell’elenco.

Anche in questo caso le Società scientifiche possono svolgere un utile lavoro istruttorio, segnalando le riviste che non rispondono, o solo in minima parte, al requisito della pertinenza con il SSD.